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Il Mantra della Produttività

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 Il Mantra della Produttività

Il pensiero unico capitalista e la sudditanza della politica sindacale.

Un mito da sfatare è quello della produttività, se il sindacato subisce l'egemonia (culturale e politica) padronale finisce con l'essere subordinato all'accrescimento degli utili di impresa e della quantità di lavoro richiesta e del crescente plusvalore espropriato ai produttori. Ogni qual volta ci chiedono di essere più produttivi vogliono ottenere non solo aumenti della produzione, degli orari e dei ritmi di lavoro ma ridurre in sostanza anche il costo del lavoro.

Non entreremo nel merito dell'economia politica, ci basti sapere che in nome della produttività hanno ottenuto deroghe ai contratti nazionali, misurato con la performance quantità e qualità delle prestazioni effettuate erogando (non a tutti\e) porzioni di salario in base a criteri divisivi e iniqui. Quando si accresce la produttività aumentano gli utili di impresa e la merce di scambio per i salariati si riduce alle briciole e sovente la merce di scambio è data anche dal deteriorarsi delle stesse condizioni lavorative e di vita.

I governi dei paesi Ocse si sono mossi all'unisono per accrescere la produttività, sono nati comitati ministeriali e con le parti sociali finalizzati a questo scopo,

I richiami della Ue all'Italia e alla Spagna vanno nella direzione di costituire questi comitati in tempi rapidi come se i tavoli tra aziende, parti datoriali e sindacali non si fossero già mosse negli ultimi 40 anni in questa stessa direzione. 

In Italia l'accrescimento della produttività ha alimentato anche il ricorso alla performance che nella PA ha sancito una distribuzione del salario accessorio assai discrezionale e con palesi disparità dietro parametri ben poco oggettivi. E a distanza di decenni la Forza lavoro attende ancora la quattordicesima mensilità.

Dietro al mito della produttività e del cosiddetto merito si celano innumerevoli obiettivi ridotti per altro alla sola crescita economica creando alla occorrenza un clima di paura nei luoghi di lavoro e costringendo a prestazioni aggiuntive, a percorsi formativi nel proprio tempo libero e a carico del singolo, ad orari flessibili che riducono il tempo di vita.

In tempi lontani la produttività cresceva con la innovazione tecnologica, quei processi innovativi che nel tempo sono stati condizionati e guidati solo per aumentare gli utili aziendali, sistemi di produzione un tempo negoziati con il sindacato quando esisteva un reale potere di contrattazione. Il mito della neutralità della scienza e della tecnologia è stato funzionale a far passare una organizzazione del lavoro sempre più alienata oltre a sottrarre parti di salario alla forza lavoro proprio quando aumentavano gli utili alle imprese.

Ma è stata proprio la subalternità agli interessi datoriali ad avere spinto la produttività alle estreme conseguenze annullando nel tempo ogni forma di reale contrattazione.

L'avvento dello smart working e della settimana corta sono parti dirimenti di quella campagna per la produttività che poi riguarda anche la cosiddetta digitalizzazione anche se è fin troppa diffusione la idea che si tratti di innovazioni benevole e favorevoli alla forza lavoro.

La riduzione della settimana lavorativa a parità di salario è una prospettiva sindacale di Cgil Cisl Uil, eppure ammesso, ma non concesso, che sia a parità di salario non si guarda all'aumento della produttività effettiva che rende conveniente accorciare i giorni di presenza intensificando la produzione nei restanti giorni.

Se guardiamo al sistema produttivo italiano la contrattazione di secondo livello è l'ambito dove le parti datoriali hanno ottenuto i migliori risultati e il sindacato ha scambiato deroghe ai contratti nazionali e il sostanziale peggioramento delle condizioni di vita con premi detassati che poi contribuiscono soprattutto agli interessi di impresa.

Quando si parla di capitale umano e di accrescere le competenze non si pone mai la domanda dirimente per il sindacato ossia quali siano i reali vantaggi per la forza lavoro. L'uso capitalistico delle innovazioni tecnologiche ha giocato un ruolo dirimente in questa partita che ha visto soccombere, anche per subalternità culturale e politica, il sindacato.  Sempre in Italia si investe poco e male nella formazione, sarebbe sufficiente ricordare quanti "cervelli" siano fuggiti all'estero dove vengono retribuiti in maniera dignitosa e con opportunità di carriera impossibili nel loro paese d'origine. 

La politica degli incentivi alle imprese non ha solo aumentato la produttività ma costruito una sorta di gabbia nella quale hanno rinchiuso il potere contrattuale, da qui la mancanza di conflitto quando in molti paesi europei si sciopera per aumenti superiori al 10 per cento o per impedire l'aumento dell'età pensionabile che in Italia è a 67 anni e mezzo.

Occorre autonomia culturale e coerenza verso gli interessi di classe senza subire la egemonia del capitale, prova ne sia la tacita accettazione delle priorità governative come la emergenza climatica (che non si traduce mai nella bonifica dei siti inquinati, nella riduzione degli infortuni e delle morti sul lavoro, nella lotta contro le malattie professionali), il benessere organizzativo che significa  favorire non la salute pubblica ma le condizioni migliori per ottenere l'aumento della produzione  e della produttività

Urge un nuovo paradigma interpretativo dei processi produttivi all'insegna dell'autonomia dalla filosofia padronale e funzionale solo agli interessi di classe se vogliamo porre fine a quella sorta di linguaggio unico interclassista che ha sancito la sconfitta del movimento operaio come dimostra la perdita del potere di acquisto e di contrattazione che caratterizza da lustri salari e pensioni

 A cura della redazione pisana di Lotta Continua

Da: https://delegati-lavoratori-indipendenti-pisa.blogspot.com

 

 

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