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sabato, 5 Ottobre 2024

«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

[K. Marx]

Parlanti, il ribelle di Mirafiori

Per ricor­da­re Lucia­no Par­lan­ti, pro­po­nia­mo un pez­zo scrit­to da Gabrie­le Polo pub­bli­ca­to il 04/05/2002 e repe­ri­bi­le al link https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2002006691.

Lucia­no Par­lan­ti se ne è anda­to, a 74 anni. Ai più il suo nome non dirà nul­la, nes­su­na sto­ria uffi­cia­le lo ricor­de­rà; ma per le lot­te ope­ra­ie degli anni ‘60–70 Lucia­no ha signi­fi­ca­to mol­to. Era l’in­car­na­zio­ne del­la Mira­fio­ri ribel­le ed era la per­so­na che meglio la sape­va rac­con­ta­re. Figlio di un anar­chi­co tosca­no, nato a Tori­no, Lucia­no entra alla Fiat nel ’59, in anni di oppres­sio­ne estre­ma, di rit­mi infer­na­li, di divi­sio­ne e pau­ra. Tut­te cose che non sop­por­ta, ma che affron­ta da solo, «per­ché la pau­ra dei capi ter­ro­riz­za­va tut­ti». Così, per die­ci anni, alle car­roz­ze­rie di Mira­fio­ri, il ribel­le Par­lan­ti impa­ra a «imbar­car­si» — cioè a scen­de­re lun­go la linea ral­len­tan­do il rit­mo del lavo­ro fino a scon­trar­si con l’o­pe­ra­io del­la posta­zio­ne suc­ces­si­va — cono­sce tut­ti gli ango­li del­la fab­bri­ca «gra­zie» ai con­ti­nui spo­sta­men­ti cui vie­ne sot­to­po­sto, sco­pre i truc­chi degli ope­rai per limi­ta­re la fati­ca del lavo­ro. Ma in quel silen­zio di un con­flit­to col­let­ti­vo ine­si­sten­te, Lucia­no con­ti­nua a esse­re un irri­du­ci­bi­le, a pre­pa­ra­re «qual­co­sa».

Quel qual­co­sa arri­va, improv­vi­so e ina­spet­ta­to, nel­la pri­ma­ve­ra del ‘69. L’op­pres­sio­ne del tay­lo­ri­smo estre­mo matu­ra il suo oppo­sto, l’in­gres­so mas­sic­cio degli immi­gra­ti cam­bia la com­po­si­zio­ne socia­le ope­ra­ia: la con­di­zio­ne è insop­por­ta­bi­le, «impos­si­bi­le dare di più». È da que­stio­ni sem­pli­ci che il con­flit­to rie­splo­de in una fab­bri­ca in cui il sin­da­ca­to è impo­ten­te, qua­si assen­te. «Scio­pe­ri per le tute in sal­da­tu­ra, per il lat­te in ver­ni­cia­tu­ra, per i sol­di un po’ dovun­que»: lot­te ele­men­ta­ri, fra­zio­na­te in quel­l’e­nor­me mostro che è Mira­fio­ri, qua­si sem­pre scol­le­ga­te tra loro, non fos­se per la rigi­di­tà del­la cate­na che fa rica­de­re a val­le ciò che avvie­ne a mon­te. «Ma gli ope­rai con­ti­nua­va­no ad ave­re pau­ra — ricor­da Lucia­no — c’e­ra biso­gno di una scos­sa». E Par­lan­ti la sua par­te la fa, non diri­ge il con­flit­to, lo indi­riz­za fisi­ca­men­te. È l’o­ra dei cor­tei inter­ni, quel­li che pos­so­no riu­ni­re le offi­ci­ne divi­se dal­le por­te blin­da­te e dal­la dit­ta­tu­ra dei capi: un tam­bu­ro di lat­ta in testa, qual­cu­no ai lati che con le cor­de del­la sel­le­ria «lan­cia» gli incer­ti den­tro il cor­teo, una gui­da per non per­der­si nel labi­rin­to del­la fab­bri­ca. Lucia­no quel­la fab­bri­ca la cono­sce benis­si­mo, è lui la gui­da, lui sa dove por­ta­re un cor­teo e non far­lo fini­re in un vico­lo cie­co. «È così che abbia­mo bat­tu­to la pau­ra dei capi, è così che l’o­pe­ra­io del­la Fiat ha ritro­va­to la sua liber­tà».

Sono gior­ni che val­go­no anni, la fab­bri­ca si rove­scia, alla rigi­di­tà del­la cate­na si sosti­tui­sce quel­la ope­ra­ia. E si sco­pre un mon­do nuo­vo, quel­lo che sta fuo­ri la fab­bri­ca, gli stu­den­ti che ven­go­no a volan­ti­na­re e par­la­re: per Lucia­no l’a­de­sio­ne a Lot­ta con­ti­nua è un fat­to natu­ra­le. È un’e­spe­rien­za uni­ca che apre un’e­ra. La liber­tà è ricon­qui­sta­ta, ini­zia la stra­da del­la sua for­ma­liz­za­zio­ne, con la con­trat­ta­zio­ne con­ti­nua, i con­si­gli, il sin­da­ca­to uni­ta­rio. Per Lucia­no è già un abi­to stret­to, non è più il tem­po dei ribel­li. Lui, ribel­le, non dele­ga a nes­su­no, vuo­le la demo­cra­zia del­le assem­blee e dei cor­tei, vuo­le tut­to e subi­to. E al pri­mo cor­teo che non rie­sce la Fiat lo licen­zia: un pre­to­re gli dà ragio­ne, ma la Fiat non lo vuo­le più, pur di non far­lo entra­re in offi­ci­na a «com­bi­nar guai» gli paga lo sti­pen­dio per star­se­ne a casa, fino all’e­tà del­la pen­sio­ne. Comin­cia l’e­ra del­la poli­ti­ca a tem­po pie­no, poi Lot­ta con­ti­nua fini­sce e con essa anche la mili­tan­za. Resta­no gli ami­ci, l’o­ste­ria, la memo­ria, il rim­pian­to, che lo por­ta a iso­lar­si fino alla scel­ta di taglia­re i pon­ti, di andar­se­ne a vive­re in cam­pa­gna.

Lucia­no Par­lan­ti è mor­to lo scor­so 23 set­tem­bre, ma noi lo abbia­mo sapu­to solo ieri, rima­nen­do di stuc­co. I suoi ami­ci stan­no pre­pa­ran­do un modo per ricor­dar­lo. La sua vita è fini­ta in un pae­si­no del mode­ne­se; la sua sto­ria ope­ra­ia si era bru­cia­ta da tem­po, nel ‘71. Furio­sa, rapi­da e libe­ra, come un cor­teo inter­no.

Gabrie­le Polo

È la lot­ta che crea l’or­ga­niz­za­zio­ne non il con­tra­rio
[Lucia­no Par­lan­ti]

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