Parlanti, il ribelle di Mirafiori

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Da destra: Luciano Parlanti, Tonino Miccichè, Nicola Laterza (detto Scarpantibus), Nico (detto Pressa) e Roberto Sibona.

Per ricor­da­re Lucia­no Par­lan­ti, pro­po­nia­mo un pez­zo scrit­to da Gabrie­le Polo pub­bli­ca­to il 04/05/2002 e repe­ri­bi­le al link https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2002006691.

Lucia­no Par­lan­ti se ne è anda­to, a 74 anni. Ai più il suo nome non dirà nul­la, nes­su­na sto­ria uffi­cia­le lo ricor­de­rà; ma per le lot­te ope­ra­ie degli anni ‘60–70 Lucia­no ha signi­fi­ca­to mol­to. Era l’in­car­na­zio­ne del­la Mira­fio­ri ribel­le ed era la per­so­na che meglio la sape­va rac­con­ta­re. Figlio di un anar­chi­co tosca­no, nato a Tori­no, Lucia­no entra alla Fiat nel ’59, in anni di oppres­sio­ne estre­ma, di rit­mi infer­na­li, di divi­sio­ne e pau­ra. Tut­te cose che non sop­por­ta, ma che affron­ta da solo, «per­ché la pau­ra dei capi ter­ro­riz­za­va tut­ti». Così, per die­ci anni, alle car­roz­ze­rie di Mira­fio­ri, il ribel­le Par­lan­ti impa­ra a «imbar­car­si» — cioè a scen­de­re lun­go la linea ral­len­tan­do il rit­mo del lavo­ro fino a scon­trar­si con l’o­pe­ra­io del­la posta­zio­ne suc­ces­si­va — cono­sce tut­ti gli ango­li del­la fab­bri­ca «gra­zie» ai con­ti­nui spo­sta­men­ti cui vie­ne sot­to­po­sto, sco­pre i truc­chi degli ope­rai per limi­ta­re la fati­ca del lavo­ro. Ma in quel silen­zio di un con­flit­to col­let­ti­vo ine­si­sten­te, Lucia­no con­ti­nua a esse­re un irri­du­ci­bi­le, a pre­pa­ra­re «qual­co­sa».

Quel qual­co­sa arri­va, improv­vi­so e ina­spet­ta­to, nel­la pri­ma­ve­ra del ‘69. L’op­pres­sio­ne del tay­lo­ri­smo estre­mo matu­ra il suo oppo­sto, l’in­gres­so mas­sic­cio degli immi­gra­ti cam­bia la com­po­si­zio­ne socia­le ope­ra­ia: la con­di­zio­ne è insop­por­ta­bi­le, «impos­si­bi­le dare di più». È da que­stio­ni sem­pli­ci che il con­flit­to rie­splo­de in una fab­bri­ca in cui il sin­da­ca­to è impo­ten­te, qua­si assen­te. «Scio­pe­ri per le tute in sal­da­tu­ra, per il lat­te in ver­ni­cia­tu­ra, per i sol­di un po’ dovun­que»: lot­te ele­men­ta­ri, fra­zio­na­te in quel­l’e­nor­me mostro che è Mira­fio­ri, qua­si sem­pre scol­le­ga­te tra loro, non fos­se per la rigi­di­tà del­la cate­na che fa rica­de­re a val­le ciò che avvie­ne a mon­te. «Ma gli ope­rai con­ti­nua­va­no ad ave­re pau­ra — ricor­da Lucia­no — c’e­ra biso­gno di una scos­sa». E Par­lan­ti la sua par­te la fa, non diri­ge il con­flit­to, lo indi­riz­za fisi­ca­men­te. È l’o­ra dei cor­tei inter­ni, quel­li che pos­so­no riu­ni­re le offi­ci­ne divi­se dal­le por­te blin­da­te e dal­la dit­ta­tu­ra dei capi: un tam­bu­ro di lat­ta in testa, qual­cu­no ai lati che con le cor­de del­la sel­le­ria «lan­cia» gli incer­ti den­tro il cor­teo, una gui­da per non per­der­si nel labi­rin­to del­la fab­bri­ca. Lucia­no quel­la fab­bri­ca la cono­sce benis­si­mo, è lui la gui­da, lui sa dove por­ta­re un cor­teo e non far­lo fini­re in un vico­lo cie­co. «È così che abbia­mo bat­tu­to la pau­ra dei capi, è così che l’o­pe­ra­io del­la Fiat ha ritro­va­to la sua liber­tà».

Sono gior­ni che val­go­no anni, la fab­bri­ca si rove­scia, alla rigi­di­tà del­la cate­na si sosti­tui­sce quel­la ope­ra­ia. E si sco­pre un mon­do nuo­vo, quel­lo che sta fuo­ri la fab­bri­ca, gli stu­den­ti che ven­go­no a volan­ti­na­re e par­la­re: per Lucia­no l’a­de­sio­ne a Lot­ta con­ti­nua è un fat­to natu­ra­le. È un’e­spe­rien­za uni­ca che apre un’e­ra. La liber­tà è ricon­qui­sta­ta, ini­zia la stra­da del­la sua for­ma­liz­za­zio­ne, con la con­trat­ta­zio­ne con­ti­nua, i con­si­gli, il sin­da­ca­to uni­ta­rio. Per Lucia­no è già un abi­to stret­to, non è più il tem­po dei ribel­li. Lui, ribel­le, non dele­ga a nes­su­no, vuo­le la demo­cra­zia del­le assem­blee e dei cor­tei, vuo­le tut­to e subi­to. E al pri­mo cor­teo che non rie­sce la Fiat lo licen­zia: un pre­to­re gli dà ragio­ne, ma la Fiat non lo vuo­le più, pur di non far­lo entra­re in offi­ci­na a «com­bi­nar guai» gli paga lo sti­pen­dio per star­se­ne a casa, fino all’e­tà del­la pen­sio­ne. Comin­cia l’e­ra del­la poli­ti­ca a tem­po pie­no, poi Lot­ta con­ti­nua fini­sce e con essa anche la mili­tan­za. Resta­no gli ami­ci, l’o­ste­ria, la memo­ria, il rim­pian­to, che lo por­ta a iso­lar­si fino alla scel­ta di taglia­re i pon­ti, di andar­se­ne a vive­re in cam­pa­gna.

Lucia­no Par­lan­ti è mor­to lo scor­so 23 set­tem­bre, ma noi lo abbia­mo sapu­to solo ieri, rima­nen­do di stuc­co. I suoi ami­ci stan­no pre­pa­ran­do un modo per ricor­dar­lo. La sua vita è fini­ta in un pae­si­no del mode­ne­se; la sua sto­ria ope­ra­ia si era bru­cia­ta da tem­po, nel ‘71. Furio­sa, rapi­da e libe­ra, come un cor­teo inter­no.

Gabrie­le Polo

È la lot­ta che crea l’or­ga­niz­za­zio­ne non il con­tra­rio
[Lucia­no Par­lan­ti]

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