Per ricordare Luciano Parlanti, proponiamo un pezzo scritto da Gabriele Polo pubblicato il 04/05/2002 e reperibile al link https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2002006691.
Luciano Parlanti se ne è andato, a 74 anni. Ai più il suo nome non dirà nulla, nessuna storia ufficiale lo ricorderà; ma per le lotte operaie degli anni ‘60–70 Luciano ha significato molto. Era l’incarnazione della Mirafiori ribelle ed era la persona che meglio la sapeva raccontare. Figlio di un anarchico toscano, nato a Torino, Luciano entra alla Fiat nel ’59, in anni di oppressione estrema, di ritmi infernali, di divisione e paura. Tutte cose che non sopporta, ma che affronta da solo, «perché la paura dei capi terrorizzava tutti». Così, per dieci anni, alle carrozzerie di Mirafiori, il ribelle Parlanti impara a «imbarcarsi» — cioè a scendere lungo la linea rallentando il ritmo del lavoro fino a scontrarsi con l’operaio della postazione successiva — conosce tutti gli angoli della fabbrica «grazie» ai continui spostamenti cui viene sottoposto, scopre i trucchi degli operai per limitare la fatica del lavoro. Ma in quel silenzio di un conflitto collettivo inesistente, Luciano continua a essere un irriducibile, a preparare «qualcosa».
Quel qualcosa arriva, improvviso e inaspettato, nella primavera del ‘69. L’oppressione del taylorismo estremo matura il suo opposto, l’ingresso massiccio degli immigrati cambia la composizione sociale operaia: la condizione è insopportabile, «impossibile dare di più». È da questioni semplici che il conflitto riesplode in una fabbrica in cui il sindacato è impotente, quasi assente. «Scioperi per le tute in saldatura, per il latte in verniciatura, per i soldi un po’ dovunque»: lotte elementari, frazionate in quell’enorme mostro che è Mirafiori, quasi sempre scollegate tra loro, non fosse per la rigidità della catena che fa ricadere a valle ciò che avviene a monte. «Ma gli operai continuavano ad avere paura — ricorda Luciano — c’era bisogno di una scossa». E Parlanti la sua parte la fa, non dirige il conflitto, lo indirizza fisicamente. È l’ora dei cortei interni, quelli che possono riunire le officine divise dalle porte blindate e dalla dittatura dei capi: un tamburo di latta in testa, qualcuno ai lati che con le corde della selleria «lancia» gli incerti dentro il corteo, una guida per non perdersi nel labirinto della fabbrica. Luciano quella fabbrica la conosce benissimo, è lui la guida, lui sa dove portare un corteo e non farlo finire in un vicolo cieco. «È così che abbiamo battuto la paura dei capi, è così che l’operaio della Fiat ha ritrovato la sua libertà».
Sono giorni che valgono anni, la fabbrica si rovescia, alla rigidità della catena si sostituisce quella operaia. E si scopre un mondo nuovo, quello che sta fuori la fabbrica, gli studenti che vengono a volantinare e parlare: per Luciano l’adesione a Lotta continua è un fatto naturale. È un’esperienza unica che apre un’era. La libertà è riconquistata, inizia la strada della sua formalizzazione, con la contrattazione continua, i consigli, il sindacato unitario. Per Luciano è già un abito stretto, non è più il tempo dei ribelli. Lui, ribelle, non delega a nessuno, vuole la democrazia delle assemblee e dei cortei, vuole tutto e subito. E al primo corteo che non riesce la Fiat lo licenzia: un pretore gli dà ragione, ma la Fiat non lo vuole più, pur di non farlo entrare in officina a «combinar guai» gli paga lo stipendio per starsene a casa, fino all’età della pensione. Comincia l’era della politica a tempo pieno, poi Lotta continua finisce e con essa anche la militanza. Restano gli amici, l’osteria, la memoria, il rimpianto, che lo porta a isolarsi fino alla scelta di tagliare i ponti, di andarsene a vivere in campagna.
Luciano Parlanti è morto lo scorso 23 settembre, ma noi lo abbiamo saputo solo ieri, rimanendo di stucco. I suoi amici stanno preparando un modo per ricordarlo. La sua vita è finita in un paesino del modenese; la sua storia operaia si era bruciata da tempo, nel ‘71. Furiosa, rapida e libera, come un corteo interno.
Gabriele Polo
È la lotta che crea l’organizzazione non il contrario
[Luciano Parlanti]