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mercoledì, 12 Marzo 2025

«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

[K. Marx]

Materialismo e natura

di Pao­lo Sal­va­to­ri

Il pro­ble­ma del­la dise­gua­glian­za è il pro­ble­ma ambien­ta­le. A. M. Iaco­no, con­fe­ren­za, 21 novem­bre 2021. Per alcu­ni la que­stio­ne è lam­pan­te, per altri non è chia­ro come l’e­co­no­mia poli­ti­ca mate­ria­li­sta sot­to­li­nei quan­to il model­lo di svi­lup­po in atto sia distrut­ti­vo del­l’am­bien­te. Osser­va­zio­ne ele­men­ta­re è che sia­no le fab­bri­che a pro­dur­re l’in­qui­na­men­to e che il capi­ta­li­smo attui la sua pre­mi­nen­za socia­le tra­mi­te il siste­ma di ripro­du­zio­ne indu­stria­le dei biso­gni. Com­piu­ta que­sta infe­ren­za, che met­te sot­to accu­sa il nostro stes­so benes­se­re, pro­ve­re­mo a dimo­stra­re come il pen­sie­ro diver­gen­te di Marx ed Engels che ispi­ra anche alcu­ni eco­no­mi­sti fuo­ri dal coro già con­ten­ga la que­stio­ne ambien­ta­le.

Pre­li­mi­nar­men­te va ricor­da­to che Marx pren­de le mos­se dal­l’im­men­sa mole let­te­ra­ria del­la cosid­det­ta eco­no­mia clas­si­ca, la qua­le si distin­gue dal­l’e­co­no­mia in voga oggi nel por­re il lavo­ro e non l’u­ti­li­tà come fon­te del valo­re. Tut­ti gli eco­no­mi­sti che han­no scrit­to pri­ma di Stuart Mill, uno dei mas­si­mi espo­nen­ti del­l’u­ti­li­ta­ri­smo, e pri­ma del­la codi­fi­ca­zio­ne mate­ma­ti­ca del prin­ci­pio del­l’u­ti­li­tà che dà la for­ma odier­na alla scien­za del­la scar­si­tà, con­ver­go­no nel rite­ne­re che la ter­ra, oltre un cer­to livel­lo di sfrut­ta­men­to, non può più dare frut­ti. Que­sta osser­va­zio­ne chia­ma­ta leg­ge dei ren­di­men­ti decre­scen­ti è sta­ta for­mu­la­ta per la pri­ma vol­ta da David Ricar­do. La pro­dut­ti­vi­tà del ter­re­no ha un limi­te, sostie­ne la scuo­la eco­no­mi­ca clas­si­ca. Marx affer­ma che anche l’in­du­stria ha un limi­te nel­la sua pos­si­bi­li­tà di estrar­re plus-valo­re sia dal­le mate­rie pri­me che dal lavo­ro e per que­sto si veri­fi­ca la leg­ge del­la cadu­ta ten­den­zia­le del sag­gio di pro­fit­to (Marx, Il Capi­ta­le III, Roma 1970 p. 259–321).

Alcu­ni auto­ri, come Piket­ty (The Cli­ma­te Book, Mila­no 2022, p. 405) e Latou­che, affer­ma­no che il limi­te del­la soste­ni­bi­li­tà è sta­to rag­giun­to e che sen­za un cam­bia­men­to del model­lo di svi­lup­po sarà impos­si­bi­le evi­ta­re un peg­gio­ra­men­to del­la cri­si cli­ma­ti­ca. Piket­ty argo­men­ta che nono­stan­te la rivo­lu­zio­ne glo­ba­le non si sia anco­ra veri­fi­ca­ta Marx col­ga la strut­tu­ra pro­fon­da del capi­ta­li­smo (Il Capi­ta­le nel XXI seco­lo, Mila­no 2013, p. 844–845) e infat­ti arti­co­la i suoi stu­di intor­no al dua­li­smo capitale/lavoro (ibi­dem, I e II leg­ge fon­da­men­ta­le del capi­ta­li­smo, p. 87 e p. 256). Que­sta con­trap­po­si­zio­ne che sot­tin­ten­de ad una oppo­si­zio­ne dia­let­ti­ca è il con­flit­to di clas­se. Piket­ty affer­ma che – in base alle sta­ti­sti­che in nostro pos­ses­so – la spe­re­qua­zio­ne nel­la distri­bu­zio­ne del red­di­to sta pro­gre­den­do inin­ter­rot­ta­men­te negli ulti­mi decen­ni, con­fer­man­do le ipo­te­si di Marx sul feno­me­no del­la con­cen­tra­zio­ne pro­gres­si­va dei capi­ta­li indu­stria­li argo­men­ta­ta attra­ver­so la leg­ge del­la cadu­ta ten­den­zia­le del sag­gio di pro­fit­to. Que­sto feno­me­no è evi­den­zia­to anche dal reso­con­to rela­ti­vo agli ultra-ric­chi redat­to dal­la rivi­sta For­bes, che lui cita a testi­mo­ne del feno­me­no del­la con­cen­tra­zio­ne. Tra­mi­te gli indi­ci da lui deli­nea­ti si può nota­re come, in base al feno­me­no sto­ri­co del­la dere­gu­la­tion, una sem­pre mino­re quo­ta di red­di­to nazio­na­le è re-distri­bui­ta tra­mi­te le tas­se e quin­di la dise­gua­glian­za sta pro­gre­den­do; que­sto è il mes­sag­gio prin­ci­pa­le che si è col­to nel­la let­tu­ra del­la sua ope­ra. Ma la con­cen­tra­zio­ne dei capi­ta­li con­fer­ma appun­to la leg­ge del­la cadu­ta ten­den­zia­le del sag­gio di pro­fit­to; e la paro­la d’ordine del­la redi­stri­bu­zio­ne non nasce cer­to con lui.

Il pro­gres­si­vo e spe­ri­men­tal­men­te veri­fi­ca­to con­cen­trar­si del­la ric­chez­za in capi­ta­li sem­pre più gran­di, a disca­pi­to del­l’e­gua­glian­za, era già sta­to infat­ti osser­va­to da Marx quan­do denun­cia­va la strut­tu­ra­li­tà del­le cri­si perio­di­che come feno­me­no rivol­to al fine del­la con­ser­va­zio­ne e l’au­to-valo­riz­za­zio­ne del valo­re-capi­ta­le, che si fon­da sul­la espro­pria­zio­ne e l’im­po­ve­ri­men­to del­la gran­de mas­sa dei pro­dut­to­ri (Il Capi­ta­le, III, Roma 1970 p. 303). L’aumento del­la dise­gua­glian­za di cui par­la quin­di Piket­ty rien­tra nel­la pro­ie­zio­ne sto­ri­ca di Marx.

Latou­che inve­ce par­la di limi­ti allo svi­lup­po in base soprat­tut­to alla incom­pa­ti­bi­li­tà fra un ulte­rio­re svi­lup­po indu­stria­le e con­ser­va­zio­ne del­la vita per­ché una cre­sci­ta infi­ni­ta è incom­pa­ti­bi­le con un pia­ne­ta fini­to (La Scom­mes­sa del­la decre­sci­ta, Mila­no 2009, p. 28). L’e­co­no­mia in auge oggi inve­ce affer­ma che la pro­dut­ti­vi­tà del lavo­ro è sem­pre aumen­ta­bi­le, inde­fi­ni­ta­men­te, come se l’in­fi­ni­to fos­se una varia­bi­le sen­sa­ta in un’e­qua­zio­ne; l’in­fi­ni­to, anche in mate­ma­ti­ca, ha sen­so solo come limi­te.

Nel Capi­ta­le pos­sia­mo tro­va­re fon­da­men­to anche alle sue ipo­te­si. E ogni pro­gres­so dell’agricoltura capi­ta­li­sti­ca costi­tui­sce un pro­gres­so non solo nell’arte di rapi­na­re l’operaio, ma anche nell’arte di rapi­na­re il suo­lo; ogni pro­gres­so nell’accrescimento del­la sua fer­ti­li­tà per un dato perio­do di tem­po, costi­tui­sce insie­me un pro­gres­so del­la rovi­na del­le fon­ti dure­vo­li di que­sta fer­ti­li­tà. (Marx, Il Capi­ta­le I, Roma 1970, p. 552). L’a­gri­col­tu­ra indu­stria­le distrug­ge il suo­lo per­ché si veri­fi­ca­no sem­pre e comun­que quel­li che sono sta­ti defi­ni­ti dall’economia poli­ti­ca “ren­di­men­ti mar­gi­na­li decre­scen­ti” sia in indu­stria che in agri­col­tu­ra.

L’i­po­te­si che la coe­si­sten­za uma­na alte­ri l’am­bien­te nel­l’at­tua­le model­lo di svi­lup­po è infat­ti una costan­te del pen­sie­ro eco­no­mi­co mate­ria­li­sta. Il pro­ble­ma del dua­li­smo uomo/natura è espli­ci­to in Engels: l’a­ni­ma­le si limi­ta ad usu­frui­re del­la natu­ra ester­na e appor­ta ad essa modi­fi­ca­zio­ni solo con la sua pre­sen­za; l’uo­mo la ren­de uti­liz­za­bi­le per i suoi sco­pi modi­fi­can­do­la: la domi­na (…) Non adu­lia­mo­ci trop­po tut­ta­via per la nostra vit­to­ria uma­na sul­la natu­ra. La natu­ra si ven­di­ca di ogni nostra vit­to­ria (Engels, Dia­let­ti­ca del­la Natu­ra, Roma 1971, p. 192). Lo sfrut­ta­men­to del­le risor­se ha come con­se­guen­za la deso­la­zio­ne del pae­sag­gio (ibi­dem).

E il lavo­ro del­l’uo­mo diven­ta fon­te di valo­ri d’u­so, e quin­di anche di ric­chez­ze, in quan­to l’uo­mo entra pre­ven­ti­va­men­te in rap­por­to, come pro­prie­ta­rio, con la natu­ra, fon­te pri­ma di tut­ti i mez­zi e ogget­ti di lavo­ro, e la trat­ta come cosa che gli appar­tie­ne. (Marx, Cri­ti­ca al Pro­gram­ma di Gotha, www.bibliomania.it, p. 3). Il pro­ble­ma del dua­li­smo uomo/natura nel mate­ria­li­smo è atte­sta­to come rivol­ta anti­re­li­gio­sa di matri­ce scet­ti­ca (se non atea), come ribel­lio­ne alla cul­tu­ra giu­dai­co-cri­stia­na ed alla sua con­ce­zio­ne schia­vi­le del lavo­ro come con­dan­na, con la con­se­guen­te stru­men­ta­liz­za­zio­ne bor­ghe­se, che dà al lavo­ro una for­za crea­tri­ce sopran­na­tu­ra­le (ibi­dem). In ulti­ma ana­li­si Marx impli­ci­ta­men­te pro­po­ne la seguen­te pro­por­zio­ne:

CAPITALE : LAVORO VIVO = UMANITA’ : NATURA

Gli uomi­ni pre­si nel loro com­ples­so, pur col­la­bo­ran­do fra loro in vario modo e tra­mi­te lo scam­bio, attra­ver­so la pro­du­zio­ne si rap­por­ta­no col­let­ti­va­men­te alla natu­ra (vedi anche Lavo­ro sala­ria­to e capi­ta­le, Mila­no 2009, p. 45).

Il pro­ble­ma dei biso­gni indot­ti e la denun­cia del­l’i­so­la­men­to reci­pro­co con­na­tu­ra­to alla nostra coe­si­sten­za sono ulte­rio­ri pro­ve del­l’e­co­lo­gi­smo insi­to nel socia­li­smo scien­ti­fi­co. Se desi­de­ria­mo un mon­do in cui la cura per gli altri, la soli­da­rie­tà e il valo­re non ridu­ci­bi­le a P.I.L. del benes­se­re (Latou­che, Bre­ve Sto­ria del­la decre­sci­ta, Mila­no 2021, p. 55–57 et etiam Patel Moo­re, Una sto­ria del mon­do a buon mer­ca­to, Mila­no 2018) sia­no più impor­tan­ti del­l’a­do­ra­zio­ne qua­si reli­gio­sa del­la ric­chez­za, cer­chia­mo un siste­ma eco­no­mi­co in cui non sia vero che i rap­por­ti socia­li fra le per­so­ne nei loro lavo­ri appa­io­no in ogni modo come loro rap­por­ti per­so­na­li, e non sono tra­ve­sti­ti da rap­por­ti socia­li fra le cose, fra i pro­dot­ti del lavo­ro (Marx, Il Capi­ta­le I, Roma 1970, p. 109).

La ridu­zio­ne del­l’uo­mo a nume­ro, ad ingra­nag­gio, a sem­pli­ce agen­te eco­no­mi­co con­dan­na­to alla mas­si­miz­za­zio­ne dei suoi gua­da­gni e quin­di al rap­por­to stru­men­ta­le sia con il pros­si­mo che con le risor­se natu­ra­li è con­se­guen­za, dun­que, del­la mer­ci­fi­ca­zio­ne descrit­ta pun­tual­men­te dal mate­ria­li­smo dia­let­ti­co nel­la sua decli­na­zio­ne eco­no­mi­ca. Il super­fluo di cui si nutre la cre­sci­ta è il brac­cio seco­la­re del­la dit­ta­tu­ra del­la ric­chez­za: per­ché la nostra coe­si­sten­za in for­ma di socie­tà di mas­sa por­ta a iso­lar­ci gli uni dagli altri, visto che si dispie­ga in una ric­chez­za ado­ra­ta come fetic­cio che è vei­co­lo di ogni rela­zio­ne (ibi­dem p. 103), men­tre la mer­ce vedet­te (Debord, La socie­tà del­lo spet­ta­co­lo, Mila­no 1997, p. 79–80) ci illu­de di get­ta­re un pon­te ver­so gli altri con­tro alla soli­tu­di­ne cui sia­mo costret­ti. Le per­so­ne si rico­no­sco­no nel­le loro mer­ci; tro­va­no la loro ani­ma nel­la loro auto­mo­bi­le, nel gira­di­schi ad alta fedel­tà, nel­la casa a due livel­li, nel­l’at­trez­za­tu­ra del­la cuci­na. Lo stes­so mec­ca­ni­smo che lega l’in­di­vi­duo alla sua socie­tà è muta­to, e il con­trol­lo socia­le è radi­ca­to nei nuo­vi biso­gni che esso ha pro­dot­to (Mar­cu­se, L’uo­mo a una dimen­sio­ne, Tori­no 1967 p. 29).

Il pro­ble­ma del­la dise­gua­glian­za è quin­di il pro­ble­ma del­la cri­si cli­ma­ti­ca per­ché il modo in cui la ric­chez­za si pola­riz­za nel dua­li­smo capitale/lavoro è lo stes­so in cui si mani­fe­sta il dua­li­smo uomo/natura. La distru­zio­ne del­la natu­ra è da Marx e da Engels espli­ci­ta­men­te denun­cia­ta par­lan­do del­l’a­gri­col­tu­ra indu­stria­le e dell’attività dell’uomo nel suo com­ples­so. Il mec­ca­ni­smo in cui la con­cen­tra­zio­ne del­le ric­chez­ze si mani­fe­sta è l’au­men­to del­le dise­gua­glian­ze; il modo in cui si attua la con­cen­tra­zio­ne è la mec­ca­niz­za­zio­ne del lavo­ro, il pre­va­le­re del lavo­ro mor­to sul lavo­ro vivo, del­la mac­chi­na sul­l’uo­mo, del capi­ta­le sul lavo­ro descrit­to come leg­ge di cadu­ta ten­den­zia­le del sag­gio di pro­fit­to. La chia­ve per com­pren­de­re la nostra coe­si­sten­za è il feti­ci­smo del­la mer­ce che si mani­fe­sta nel­la mer­ci­fi­ca­zio­ne di ogni aspet­to del­la vita uma­na.

Sia l’aumento del­le dise­gua­glian­ze denun­cia­to da Piket­ty che il para­dos­so del­la cre­sci­ta evi­den­zia­to da Latou­che han­no quin­di fon­da­men­to nell’economia poli­ti­ca mate­ria­li­sta e clas­si­ca. Que­sti due feno­me­ni sono ricon­du­ci­bi­li il pri­mo alla leg­ge del­la cadu­ta ten­den­zia­le del sag­gio di pro­fit­to per la qua­le è neces­sa­rio che si veri­fi­chi la con­cen­tra­zio­ne di capi­ta­li, il secon­do al feno­me­no dei ren­di­men­ti mar­gi­na­li decre­scen­ti evi­den­zia­to da Ricar­do e da Marx este­so all’industria. Ogni atti­vi­tà eco­no­mi­ca è sog­get­ta al feno­me­no dei ren­di­men­ti mar­gi­na­li decre­scen­ti per­ché, pur aggiun­gen­do quo­te aggiun­ti­ve di capi­ta­le varia­bi­le (ovve­ro di lavo­ro oppu­re mate­rie pri­me) oltre un cer­to limi­te la ter­ra o il capi­ta­le non potran­no più dare frut­ti pro­por­zio­na­li alle ulti­me aggiun­te di fat­to­ri pro­dut­ti­vi ester­ni. Che le risor­se ambien­ta­li aves­se­ro un limi­te nel­la pos­si­bi­li­tà di esse­re sfrut­ta­te era evi­den­te anche a Marx, come risul­ta dai suoi testi.

Il riscal­da­men­to glo­ba­le non si era anco­ra veri­fi­ca­to duran­te il XIX seco­lo, non era anco­ra sta­ta for­mu­la­ta l’i­po­te­si di Love­lock che l’u­ma­ni­tà fos­se una feb­bre pas­seg­ge­ra di Gaia, il pia­ne­ta viven­te. Marx però para­go­na­va indu­stria ed agri­col­tu­ra moder­ne, indi­can­do il loro comu­ne deno­mi­na­to­re nel­l’e­sau­ri­men­to del­le risor­se: il siste­ma indu­stria­le del­la cam­pa­gna suc­chia l’e­ner­gia anche degli ope­rai, e l’in­du­stria e il com­mer­cio, dal can­to loro, pro­cu­ra­no all’a­gri­col­tu­ra i mez­zi per depau­pe­ra­re la ter­ra (Il Capi­ta­le III, Roma 1970, p. 926).

La ricer­ca di un nuo­vo model­lo di svi­lup­po non può pre­scin­de­re da un’a­na­li­si ogget­ti­va dei costi ambien­ta­li ma potreb­be ricor­re­re ad un model­lo che piut­to­sto che cri­ti­chi l’attuale siste­ma, inve­ce che giu­sti­fi­car­lo come fa il pen­sie­ro uni­co. L’e­co­no­mia poli­ti­ca mar­xi­sta sa evi­den­zia­re meto­do­lo­gi­ca­men­te non solo dove il plus-valo­re estrat­to al lavo­ra­to­re sia ecces­si­vo, anche se oggi ine­vi­ta­bi­le, ma anche quan­do, nel­le paro­le di Latou­che, si intac­chi il capi­ta­le natu­ra­le (Bre­ve sto­ria del­la decre­sci­ta, Tori­no 2021, p. 29).

Ogni ele­men­to del­la natu­ra ha nel capi­ta­li­smo un valo­re di scam­bio ma que­sto è total­men­te un sopru­so: nel­le paro­le di Marx La casca­ta, al pari del­la ter­ra in gene­ra­le, al pari di ogni for­za natu­ra­le, non ha un valo­re (Il Capi­ta­le III, Roma 1970, p. 749).

 

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