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sabato, 5 Ottobre 2024

«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

[K. Marx]

Ripartiamo dal repartino: 40 anni di lotte femministe

A quarant’anni dal­la nasci­ta del Repar­ti­no Auto­ge­sti­to per l’Interruzione Volon­ta­ria di Gra­vi­dan­za, inter­no al Poli­cli­ni­co “Umber­to I”, ricor­dia­mo attra­ver­so testi­mo­nian­ze, imma­gi­ni ed un eser­ci­zio di memo­ria col­let­ti­va, gli ini­zi di un’esperienza radi­ca­le e pre­zio­sa che oggi è mes­sa a rischio dal­le poli­ti­che discri­mi­na­to­rie dell’azienda ospe­da­lie­ra!

di Info­sex

“Abor­ti­re per non abor­ti­re più”… Subi­to dopo l’emanazione del­la Leg­ge 194, il 22 MAGGIO 1978, nell’auletta occu­pa­ta del Poli­cli­ni­co si comin­ciò a spin­ge­re la discus­sio­ne nel­la dire­zio­ne del ren­de­re ese­cu­ti­va la leg­ge, per­ché di fat­to non lo era. Le com­pa­gne del col­let­ti­vo di oste­tri­ca cono­sce­va­no repar­ti com­ple­ta­men­te inu­ti­liz­za­ti, con let­ti e stru­men­ti chi­rur­gi­ci.

Scri­ve La Repub­bli­ca (7 giu­gno 1978): «Roma, deci­sa in assem­blea l’applicazione del­la leg­ge. La sfi­da è comin­cia­ta. Da una par­te gli obiet­to­ri, gli appel­li del­la chie­sa, le strut­tu­re socio­sa­ni­ta­rie insuf­fi­cien­ti; dall’altra le cen­ti­na­ia di richie­ste per abor­ti­re legal­men­te, i medi­ci pro­gres­si­sti, la Regio­ne e soprat­tut­to le don­ne. Non è una leg­ge, que­sta sull’aborto, che pote­va cade­re nell’indifferenza: a due gior­ni dal­la sua entra­ta in vigo­re si mol­ti­pli­ca­no le ini­zia­ti­ve, le assem­blee, gli incon­tri per garan­ti­re la sua appli­ca­zio­ne e per difen­der­la. Al Poli­cli­ni­co, dove la mag­gior par­te dei sani­ta­ri si era espres­sa per l’obiezione, ieri c’è sta­ta un’assemblea a cui han­no par­te­ci­pa­to le don­ne di quar­tie­re, il per­so­na­le para­me­di­co e i medi­ci. E un dato nuo­vo, al ter­mi­ne del dibat­ti­to che pure ha mes­so per l’ennesima vol­ta in luce le caren­ze strut­tu­ra­li dell’ospedale, è usci­to: si potrà abor­ti­re anche nel­le cli­ni­che uni­ver­si­ta­rie. Da oggi ver­ran­no accet­ta­te le doman­de e, tra una set­ti­ma­na, saran­no pra­ti­ca­ti i pri­mi abor­ti».

Al Poli­cli­ni­co si sus­se­guo­no riu­nio­ni e incon­tri con i col­let­ti­vi fem­mi­ni­sti del quar­tie­re. Il 21 GIUGNO del 1978 vie­ne occu­pa­to il Repar­ti­no: il tem­po di orga­niz­za­re l’accettazione, dove il medi­co avreb­be invia­to le don­ne al III pia­no del­la cli­ni­ca oste­tri­ca. Con le fem­mi­ni­ste capa­ci di atti­va­re il meto­do Kar­man, e il dot­tor Enzo Maio­ra­na che garan­ti­sce l’accettazione del­le pri­me 4 don­ne che devo­no abor­ti­re, si atti­va il repar­to di inter­ru­zio­ne di gra­vi­dan­za. Il poli­cli­ni­co Umber­to 1 è il pri­mo ospe­da­le roma­no che, attra­ver­so l’occupazione di un repar­to inu­ti­liz­za­to ma fun­zio­nan­te, impo­ne l’aborto gra­tui­to e auto­ge­sti­to. Gli altri ospe­da­li roma­ni, come il San Gio­van­ni o il San Camil­lo, non furo­no in gra­do di fare un’occupazione vera e pro­pria e i col­let­ti­vi fem­mi­ni­sti apri­ro­no trat­ta­ti­ve con le dire­zio­ni sani­ta­rie.

Gra­ziel­la Bastel­li, tra le pro­ta­go­ni­ste dell’occupazione al Poli­cli­ni­co, in un’intervista rila­scia­ta nel 21 Feb­bra­io 2006 ricor­da: «Nel 1978 la Leg­ge 194 susci­tò tan­te discus­sio­ni all’interno dei movi­men­ti fem­mi­ni­sti, soprat­tut­to per­ché per­pe­tua­va un con­trol­lo sul­le don­ne e per­ché pre­ve­de­va la set­ti­ma­na di atte­sa in cui si invi­ta­va­no le don­ne a riflet­te­re sull’azione che si appre­sta­va­no a com­pie­re […] Ma dopo un momen­to ini­zia­le di scon­cer­to, era chia­ro ai più che la 194 c’era e anda­va appli­ca­ta. Il Repar­ti­no nasce­va con lo slo­gan ‘abor­tia­mo per non abor­ti­re più’, per dare mas­si­mo risal­to alle lot­te per l’autodeterminazione del­le don­ne, per la gestio­ne del­la pro­pria ses­sua­li­tà e per la scel­ta del­la tem­po­ra­li­tà lega­ta alla pro­pria mater­ni­tà. Ho comin­cia­to come stu­den­tes­sa di medi­ci­na e sono entra­ta nel col­let­ti­vo a 20 anni. Ho fat­to espe­rien­za del Repar­ti­no a 27 anni. Noi del Poli­cli­ni­co ave­va­mo biso­gno di con­cre­tiz­za­re e veni­va­mo cri­ti­ca­ti come poco teo­ri­ci. Ma all’epoca c’erano i giu­sti rap­por­ti di for­za per pas­sa­re dal­la teo­ria alla pras­si, e il Repar­ti­no è sta­ta una espe­rien­za ric­chis­si­ma».

Foto di Pao­la Ago­sti (1976)

GLI ANTEFATTI: IL COLLETTIVO DEL POLICLINICO E I RAPPORTI CON IL FEMMINISMO

Il Repar­ti­no non nasce dal nul­la, tan­to come espe­rien­za quan­to come espres­sio­ne del­la capa­ci­tà di autor­ga­niz­za­zio­ne del­le don­ne. Non è infat­ti un caso che la spe­ri­men­ta­zio­ne par­ta dal Poli­cli­ni­co Umber­to I: il Col­let­ti­vo di lavo­ra­tor* e stu­dent* del Poli­cli­ni­co, dal 1973 in poi, comin­cia una gran­de bat­ta­glia per l’assistenza e la regio­na­liz­za­zio­ne, e anco­ra sui paga­men­ti, cam­bi e assun­zio­ni dei lavo­ra­to­ri.

Nel 1974 ne segue una impor­tan­te lot­ta – rac­con­ta Gra­ziel­la: «Dal Poli­cli­ni­co par­ti­va­mo in mar­cia fino al Mini­ste­ro del­la Pub­bli­ca Istru­zio­ne o al Car­ce­re Regi­na Coe­li. Face­va­mo cor­tei den­tro al Poli­cli­ni­co coi bam­bi­ni per riven­di­ca­re l’asilo nido inter­no. L’esperienza del 1974 per l’asilo nido fu un gran­de coa­gu­lan­te; cal­co­lan­do che il 90% dei lavo­ra­to­ri era­no don­ne e quin­di l’asilo era una neces­si­tà for­te per i figli. Que­sta lot­ta ave­va inse­gna­to e amal­ga­ma­to mol­to, le assem­blee ad alto nume­ro fem­mi­ni­le c’erano dun­que già da tem­po, e di abor­to si era già ini­zia­to a par­la­re […] La riven­di­ca­zio­ne dell’asilo ave­va poi deter­mi­na­to un inte­res­se dif­fu­so e col­let­ti­vo per i temi nor­mal­men­te lega­ti alle atti­vi­tà di cura del­la don­na e alle pro­ble­ma­ti­che con­nes­se con la mater­ni­tà, libe­ra e frut­to di scel­ta con­sa­pe­vo­le».

Il col­let­ti­vo del Poli­cli­ni­co (carat­te­riz­za­to da una com­po­si­zio­ne mista e non del tut­to inter­no al movi­men­to fem­mi­ni­sta), già dal­la gros­sa atti­va­zio­ne del 1974 che por­tò a 6 mesi di mobi­li­ta­zio­ne per­ma­nen­te, ave­va affron­ta­to la que­stio­ne dell’aborto sot­to diver­si aspet­ti: da quel­lo ammi­ni­stra­ti­vo, all’assistenza all’interno del­la strut­tu­ra ospe­da­lie­ra uni­ver­si­ta­ria; non solo dal pun­to di vista fem­mi­ni­sta ma coin­vol­gen­do all’interno di que­ste assem­blee e dibat­ti­ti anche don­ne poco sen­si­bi­liz­za­te alle que­stio­ni di gene­re.

L’alleanza imme­dia­ta con il col­let­ti­vo fem­mi­ni­sta di San Loren­zo e con Simo­net­ta Tosi, che cer­to non era una “fem­mi­ni­sta di ulti­ma gene­ra­zio­ne” ma ave­va la sua sto­ria pro­prio nel fem­mi­ni­smo roma­no, arric­chi­sce l’esperienza del­le com­pa­gne del col­let­ti­vo del Poli­cli­ni­co e degli stes­si com­pa­gni che si ren­do­no dispo­ni­bi­li a fare tut­ta una serie di lavo­ri neces­sa­ri a far fun­zio­na­re il repar­to (dal­le puli­zie al repe­ri­men­to di mate­ria­le sani­ta­rio), men­tre le don­ne si occu­pa­no di tut­to il resto gesten­do sia la fase pre che post inter­ven­to: dal­le accet­ta­zio­ni, ai col­lo­qui, alle assem­blee sul­la con­trac­ce­zio­ne, e tut­ta la pra­ti­ca del Kar­man.

LA NASCITA DEL REPARTINO

La sto­ria del Repar­ti­no di abor­ti auto­ge­sti­ti del Poli­cli­ni­co è una sto­ria emble­ma­ti­ca: di gio­ia, lot­ta e con­qui­sta. Dal pun­to di vista uma­no, il fat­to­re aggre­gan­te e la soli­da­rie­tà tra cate­go­rie di lavo­ra­to­ri e lavo­ra­tri­ci con le uten­ze del­la strut­tu­ra sani­ta­ria è il valo­re aggiun­to, a cui aspi­ra­no da anni le pro­te­ste degli “auto­no­mi” del Poli­cli­ni­co: cam­bia­re il rap­por­to con il pazien­te, che da spet­ta­to­re pas­si­vo deve dive­ni­re atto­re con­sa­pe­vo­le e quin­di ‘atti­vo’ di quan­to si muo­ve sul­la sua pel­le.

Infat­ti, gra­zie anche al soste­gno di col­let­ti­vi fem­mi­ni­sti come quel­lo di San Loren­zo con Simo­net­ta Tosi, il Repar­ti­no degli abor­ti, nel­la sua fase auto­ge­sti­ta, non fu solo un con­te­sto medi­co e medi­ca­liz­za­to nel suo ope­ra­to, quan­to piut­to­sto un pun­to di rife­ri­men­to per le don­ne che dove­va­no abor­ti­re o ave­va­no abor­ti­to, attra­ver­so assem­blee quo­ti­dia­ne e incon­tri sul­la pre­ven­zio­ne. Sul ter­re­no del­la pra­ti­ca del­la lot­ta dal bas­so e quel­lo del­la con­qui­sta l’esperienza del Repar­ti­no per­mi­se:

  • di spe­ri­men­ta­re nel 1978 una diver­sa ed uni­ca allean­za fra alcu­ni col­let­ti­vi fem­mi­ni­sti del quar­tie­re di San Loren­zo e un col­let­ti­vo misto di ope­ra­to­ri sani­ta­ri, arri­van­do ad una con­di­vi­sio­ne di agi­ti che, nell’applicazione di una leg­ge pie­na di con­trad­di­zio­ni e ille­ga­li­tà lega­liz­za­te, ne impo­ne­va l’applicazione con una gestio­ne tota­le da par­te dell’utenza, ovve­ro del­le DONNE;
  • di dare sen­so e con­te­nu­ti all’auto­de­ter­mi­na­zio­ne tra­mi­te l’ascolto dei biso­gni sog­get­ti­vi e col­let­ti­vi per offri­re salu­te e benes­se­re, liber­tà di scel­ta nell’essere madre e don­na, cono­scen­ze sul cor­po e sul­la ses­sua­li­tà inte­sa anche e prin­ci­pal­men­te come pia­ce­re. Il tut­to in una strut­tu­ra sani­ta­ria pub­bli­ca pro­fes­sio­na­le e di qua­li­tà fat­ta dal­le don­ne per le don­ne;
  • di met­te­re in evi­den­za l’ipocrisia di chi ave­va “par­to­ri­to” que­sta leg­ge per NON appli­car­la e far­la appli­ca­re. Sicu­ri che l’obie­zio­ne di coscien­za, i vari pas­sag­gi buro­cra­ti­ci che pena­liz­za­va­no e col­pe­vo­liz­za­va­no le don­ne, la mancanza/carenza di finan­zia­men­ti, di spa­zi e di ope­ra­to­ri nel­le strut­tu­re sani­ta­rie, avreb­be­ro lascia­to solo sul­la car­ta que­sta leg­ge volu­ta con lot­te e mobi­li­ta­zio­ni dal­le don­ne. Ven­ne inol­tre mes­sa in luce l’ipocrisia del pote­re eccle­sia­sti­co e medi­co che dove­va man­te­ne­re i pro­fit­ti nel­le cli­ni­che e negli stu­di pri­va­ti che si era­no arric­chi­ti con gli abor­ti clan­de­sti­ni;
  • di chia­ri­re che l’occupazione e l’auto­ge­stio­ne di un repar­ti­no IVG, a pochi gior­ni da una leg­ge nazio­na­le, non pote­va esse­re ripor­ta­ta alla “nor­ma­li­tà” e stru­men­ta­liz­za­ta dal­le strut­tu­re pub­bli­che che lo dove­va­no garan­ti­re, per­ché era una pro­vo­ca­zio­ne nei con­fron­ti del­la loro assen­za e per­ché era nata chia­ren­do che non avreb­be sosti­tui­to quel­lo che loro dove­va­no atti­va­re in tut­ti gli ospe­da­li e con pre­ci­se indi­ca­zio­ni: appli­ca­zio­ne del meto­do Kar­man, ovve­ro dell’aspirazione, per­ché meno medi­co, meno vio­len­to e meno inva­si­vo del raschia­men­to, impa­ran­do que­sta nuo­va pra­ti­ca dal­le com­pa­gne fem­mi­ni­ste che, negli anni pre­ce­den­ti era­no sta­te l’unica alter­na­ti­va ai “viag­gi del­la spe­ran­za” in Inghil­ter­ra e alle mam­ma­ne nostra­ne;
  • di impor­re che l’occupazione del Repar­ti­no potes­se favo­ri­re l’estensione del­le pra­ti­che oltre quel­lo stes­so ser­vi­zio. Nel­le sale par­to con­tro le vio­len­ze oste­tri­che e la disu­ma­niz­za­zio­ne dei suoi spa­zi; negli ambu­la­to­ri con le lun­ghe liste di atte­sa; nei repar­ti oste­tri­co-gine­co­lo­gi­ci pre­ten­den­do un repar­to per le puer­pe­re e più per­so­na­le; in rife­ri­men­to al nido tan­to distan­te dal­la sala par­to che costrin­ge­va le don­ne che ave­va­no par­to­ri­to con il cesa­reo a non poter vede­re e allat­ta­re i pro­pri figli per 24/48 se non ave­va­no un fami­lia­re che le accom­pa­gna­va con una del­le rare sedie a rotel­le del­la cli­ni­ca; nel­la denun­cia costan­te dei medi­ci obiet­to­ri del Poli­cli­ni­co (il 99%) che lavo­ra­va­no nel pri­va­to clan­de­sti­no. Tut­ti gli spa­zi e l’offerta sani­ta­ria veni­va­no con­trol­la­ti, per­ché l’OCCUPAZIONE del Repar­ti­no ave­va la pre­ci­sa pro­get­tua­li­tà di con­cre­tiz­za­re una sani­tà pub­bli­ca gesti­ta dall’utenza e dove i medi­ci non era­no i deten­to­ri di un pote­re scien­ti­fi­co sui cor­pi pas­si­vi di chi richie­de­va ascol­to, pre­ven­zio­ne, cure, rispet­to, ma sem­pli­ci per­so­ne che con­di­vi­de­va­no con altre le loro cono­scen­ze.

IL METODO KARMAN

 Pri­ma dell’applicazione del­la Leg­ge 194 c’erano i cosid­det­ti ‘Cuc­chiai d’oro’ che lucra­va­no sul­le don­ne a loro rischio e peri­co­lo.

Il nome di ‘Cuc­chiai d’oro’, attri­bui­to a que­sti pro­fes­sio­ni­sti dell’aborto clan­de­sti­no, rigo­ro­sa­men­te in cli­ni­che pri­va­te e a caris­si­mo prez­zo, rie­vo­ca­va il loro stru­men­to di lavo­ro: il cuc­chia­io di fer­ro ado­pe­ra­to per la puli­zia dell’utero.

La discus­sio­ne sul meto­do Kar­man (ovve­ro l’aspi­ra­zio­ne), meto­do mol­to meno trau­ma­ti­co per le don­ne e per l’utero rispet­to al raschia­men­to pra­ti­ca­to dai cosid­det­ti ‘Cuc­chiai d’oro’ anche per minac­ce d’aborto, fu for­te anche all’interno del Col­let­ti­vo misto del Poli­cli­ni­co e per­met­te­va di ragio­na­re sul­la pos­si­bi­li­tà di mobi­li­tar­si all’interno del­la strut­tu­ra pub­bli­ca, e fare ‘piaz­za puli­ta di cuc­chiai e mam­ma­ne’.

Il meto­do veni­va pra­ti­ca­to in Fran­cia, lì par­ti­va­no mol­te com­pa­gne per appren­der­lo e ripro­dur­lo. Una nota del quo­ti­dia­no La Stam­pa, data­ta 8 Set­tem­bre 1978, ripor­ta le paro­le di una don­na e fem­mi­ni­sta che da anni si inte­res­sa­va al tema dell’aborto: «Ci sono sta­ti momen­ti in cui fra Crac, Cisa, Nuclei abor­to fem­mi­ni­ste face­va­mo in una set­ti­ma­na tan­ti inter­ven­ti quan­ti ne fan­no oggi le strut­tu­re pub­bli­che. Ma allo­ra lo si sape­va bene, c’erano i cuc­chiai d’oro, le cli­ni­che per le pri­vi­le­gia­te, le mam­ma­ne, i voli char­ter per Lon­dra. E oggi, tut­te le don­ne che con­ti­nua­no a aver biso­gno di un inter­ven­to che fine han­no fat­to? Non per­dia­mo­ci die­tro  le man­cia­te di pol­ve­re che si get­ta negli occhi né die­tro le sca­ra­muc­ce: il mer­ca­to clan­de­sti­no è fio­ren­te, la rot­ta per l’Inghilterra è bat­tu­tis­si­ma con una rab­bia e un dolo­re anco­ra più pro­fon­do di pri­ma, se pos­si­bi­le».

C’erano però anche le com­pa­gne che pra­ti­ca­va­no il Kar­man clan­de­sti­no, per evi­ta­re che le don­ne fos­se­ro costret­te a viag­gi a Lon­dra o in Fran­cia (chi pote­va per­met­ter­se­lo ovvia­men­te) ma rischian­do loro stes­se in pri­ma per­so­na a livel­lo pena­le. «Chi inve­ce non pote­va par­ti­re” – rac­con­ta Gra­ziel­la – ave­va la pos­si­bi­li­tà di paga­re fior di quat­tri­ni in cli­ni­che pri­va­te, dove ci si affi­da­va al chi­rur­go di tur­no. Il col­let­ti­vo del Poli­cli­ni­co ave­va indi­vi­dua­to diver­si di que­sti medi­ci, che infat­ti con l’approvazione del­la 194 intra­pre­se­ro la stra­da dell’obiezione, e che era­no ina­de­gua­ti alla pra­ti­ca. Per que­sto veni­va­no segna­la­ti  con volan­ti­ni o con il ‘lan­cio del­le 5 lire’ quan­do entra­va­no al poli­cli­ni­co. Mol­ti di que­sti usa­va­no le stru­men­ta­zio­ni pub­bli­che a fini pri­va­ti ».

La pra­ti­ca dell’aborto clan­de­sti­no, oltre ad esse­re costo­sa per le don­ne, il più del­le vol­te veni­va agi­ta di nasco­sto ed in con­te­sti non sem­pre sicu­ri, rien­tran­do qua­si in dina­mi­che di ricat­to. Si gio­ca­va sui sen­si di col­pa del­le don­ne, tra­scu­ran­do un ele­men­to fon­dan­te che diven­ne inve­ce prio­ri­ta­rio nel Repar­ti­no e nel­la leg­ge, ovve­ro la pre­ven­zio­ne all’aborto.

L’obiettivo del Repar­ti­no occu­pa­to era dun­que pro­prio quel­lo, cioè ‘attra­ver­so l’aborto annul­la­re l’uso all’aborto’, che comun­que rap­pre­sen­ta per la don­na un’esperienza com­ples­sa e vio­len­ta. Spes­so le cau­se degli abor­ti era­no date dal­la man­can­za di pos­si­bi­li­tà eco­no­mi­che, quan­to anche dall’avere già altri figli, con la con­se­guen­te con­sa­pe­vo­lez­za per la don­na di non poter­ce­la fare. La vul­ga­ta che inve­ce gio­ca­va sul­la dico­to­mia dell’aborto come assas­si­nio insi­ste­va (e lo fa tutt’oggi) sul pre­giu­di­zio cul­tu­ra­le del­la don­na fri­vo­la, tut­ta pas­sio­ne e pia­ce­re, super­fi­cia­le e disin­te­res­sa­ta ver­so quel­lo che por­ta in grem­bo. L’aborto era inve­ce (e in tan­te occa­sio­ni lo è tutt’ora) una rinun­cia e spes­so una scel­ta neces­sa­ria: que­sta descri­zio­ne non era quel­la che anda­va per la mag­gio­re negli ambien­ti intel­let­tua­li e nel­la vul­ga­ta uffi­cia­le. La 194 non dove­va solo esse­re appli­ca­ta ma pre­ve­de­va un neces­sa­rio e impor­tan­te lavo­ro di con­tro­in­for­ma­zio­ne.

VITA DI REPARTINO

L’approvazione del­la Leg­ge 194 fu il risul­ta­to di un com­pro­mes­so che le don­ne non accet­ta­ro­no facil­men­te, nono­stan­te si richie­des­se a gran voce l’urgenza di una leg­ge sull’aborto. Le don­ne, attra­ver­so le lot­te e il refe­ren­dum, riven­di­ca­va­no la loro liber­tà di scel­ta e l’annullamento del mer­ca­to clan­de­sti­no di abor­ti. La Leg­ge 194 tra­dì entram­be le aspet­ta­ti­ve sot­to diver­si pun­ti di vista.

Per que­sto il Repar­ti­no occu­pa­to fu un ten­ta­ti­vo con­cre­to per misu­rar­si con tut­ti i diver­si biso­gni del­le don­ne, facen­do i con­ti con le con­trad­di­zio­ni che dove­va­mo affron­ta­re. Con l’introduzione dell’aspetto del­la pre­ven­zio­ne, quel­lo dell’ “abor­ti­re per non abor­ti­re più”, si cari­cò di un for­te sen­so di soli­da­rie­tà e con­fron­to. Rac­con­ta anco­ra Gra­ziel­la: «Mol­te del­le don­ne che ave­va­no subi­to l’intervento, spes­so tor­na­va­no per dar­ci una mano e fare le volon­ta­rie con noi nel Repar­ti­no, maga­ri facen­do più cacia­ra che altro, per­ché c’era un cli­ma di gran­de alle­gria al Repar­ti­no, più che coor­di­nar­si e orga­niz­zar­si!»

Ben pre­sto l’accettazione del­le don­ne diven­tò pro­ble­ma­ti­ca, per­ché oltre Maio­ra­na non c’era nes­sun altro medi­co. Mol­te don­ne del col­let­ti­vo face­va­no i loro tur­ni nei repar­ti e poi, fini­to il tur­no, anda­va­no al Repar­ti­no. Dopo un mese il Repar­ti­no auto­ge­sti­to vie­ne dota­to di un infer­mie­re e un por­tan­ti­no uffi­cia­le. Per­so­na­le ‘uffi­cia­le’ con­ces­so dal­la strut­tu­ra sani­ta­ria, per per­met­te­re ai ‘volon­ta­ri’ di con­ti­nua­re a pra­ti­ca­re abor­ti e tene­re in pie­di il Repar­ti­no, sep­pur occu­pa­to e gesti­to in modo assem­blea­re. C’erano assem­blee tut­ti i gior­ni con le stes­se don­ne che si affac­cia­va­no al Repar­ti­no per abor­ti­re, e si discu­te­va soprat­tut­to del­la pre­ven­zio­ne all’aborto: pil­lo­la, dia­fram­ma, pre­ser­va­ti­vo, spi­ra­le.

«Si con­di­vi­de­va­no i nostri sogni con la neces­si­tà di ren­de­re un ser­vi­zio, che per mol­ti mesi, anche dopo l’emanazione del­la leg­ge, non era pra­ti­ca­to in altri ospe­da­li, per­ché ovvia­men­te non garan­ti­va inte­res­si eco­no­mi­ci rile­van­ti. L’esperienza del Repar­ti­no occu­pa­to stra­vol­se gli equi­li­bri inter­ni nel­la cli­ni­ca oste­tri­ca: i volon­ta­ri e le volon­ta­rie entra­no ovun­que, anche nel­le sale par­to, dove ci sono e c’erano con­di­zio­ni paz­ze­sche, con don­ne in barel­la anche dopo il cesa­reo» – rac­con­ta anco­ra Gra­ziel­la- «C’erano oste­tri­che anzia­ne che dia­lo­ga­va­no con le pazien­ti in modo aggres­si­vo e cat­ti­vo: ‘hai volu­to la bici e mo pedali’…’t‘è pia­ciu­to e mo pia­gni».

In un con­te­sto dove vige­va la cul­tu­ra pre­do­mi­nan­te, quel­la gerar­chi­ca in cui la don­na è ai pia­ni bas­si, il Repar­ti­no «diven­ta­va una spi­na nel fian­co di oste­tri­ca. Le don­ne aumen­ta­va­no di gior­no in gior­no, si pra­ti­ca­va­no anche 7–8 abor­ti al gior­no, lavo­ran­do dal­la mat­ti­na alla sera in modo costan­te. La pres­sio­ne e pre­sen­za con­ti­nua costrin­se l’amministrazione a con­ce­de­re un mini­mo fon­do per disin­fet­tan­ti vari e beni di neces­si­tà. Alcu­ni medi­ci si affian­ca­ro­no a que­sto pun­to comin­cian­do a dare un con­tri­bu­to, che si com­pren­de­rà dopo, a dop­pio fine. Quan­do la poli­zia sgom­be­rò per la ter­za vol­ta a Set­tem­bre il Repar­ti­no cac­cian­do gli occu­pan­ti, l’attività con­ti­nuò ad ope­ra di que­sti medi­ci che otten­ne­ro con­trat­ti e che ope­ra­va­no con le guar­die alle por­te per tene­re fuo­ri chi volon­ta­ria­men­te, all’indomani del­la 194, ne ave­va reso pos­si­bi­le l’applicazione in Ita­lia».

Il ‘Cetrio­lo con­tro’, rivi­sta auto­pro­dot­ta all’interno del Poli­cli­ni­co, rac­con­ta­va le fac­cen­de dei pro­fes­so­ri baro­ni Mar­cel­li e Coscia: «sono tut­te per­so­ne che usa­no poi il Repar­ti­no per fare la loro car­rie­ra: cari­che e ruo­li all’interno di oste­tri­cia; men­tre le com­pa­gne come Simo­net­ta Tosi, fem­mi­ni­sta e medi­co, vivo­no il Repar­ti­no dif­fe­ren­te­men­te, dan­do impor­tan­za ai discor­si del­la pre­ven­zio­ne e con­tro­in­for­ma­zio­ne, nell’ottica di spin­ge­re sull’autodeterminazione. Non era il medi­co che face­va il ser­vi­zio e basta! Ma si vive­va que­sta azio­ne medi­ca come azio­ne uma­na. Un sogno che l’esperienza del Repar­ti­no ha tra­sfor­ma­to in real­tà».

LE TESTIMONIANZE DELLE DONNE

Quel­le che seguo­no sono due diver­se testi­mo­nian­ze. La pri­ma di una don­na che ven­ne rico­ve­ra­ta al Repar­ti­no IVG, e la secon­da di una lavo­ra­tri­ce che par­te­ci­pò all’occupazione dal 21 giu­gno del 1978:

«Supe­ra­to il pri­mo momen­to di sgo­men­to nell’apprendere il mio sta­to di gra­vi­dan­za, pie­na di illu­sio­ni per la tan­to strom­baz­za­ta Leg­ge 194, ho ini­zia­to il mio giro (…) nei vari ospe­da­li di Roma e pro­vin­cia. Ben pre­sto il mio otti­mi­smo si tra­sfor­mò in ango­scia mista a rab­bia di fron­te a liste inter­mi­na­bi­li. (…) Le cose anda­ro­no diver­sa­men­te alla secon­da cli­ni­ca Gine­co­lo­gi­ca del Poli­cli­ni­co, dove un Repar­ti­no era sta­to occu­pa­to ed auto­ge­sti­to da un grup­po di fem­mi­ni­ste. (…) Car­tel­li con visto­se frec­ce mi con­dus­se­ro per mano al secon­do pia­no di que­sta cli­ni­ca.

Entran­do, sui muri, bre­vi e indi­ca­ti­vi rias­sun­ti dei fat­ti più salien­ti di una lot­ta assur­da, impa­ri, con­dot­ta per anni da que­ste don­ne con­tro isti­tu­zio­ni atte solo alla sal­va­guar­dia di un pote­re che fa di chi dovreb­be esse­re al ser­vi­zio del­le don­ne, in que­sto caso, un pro­prie­ta­rio di cose e per­so­ne che asso­lu­ta­men­te deb­bo­no appar­te­ner­gli. La dispo­ni­bi­li­tà del­le ragaz­ze che si tro­va­va­no nel cor­ri­do­io qua­si mi lasciò incre­du­la. Alle timi­de doman­de le rispo­ste era­no chia­re (…). La mat­ti­na del 22 ago­sto, dopo una set­ti­ma­na inson­ne e agi­ta­ta, mi tro­vai con altre set­te don­ne ad esple­ta­re quel­le for­ma­li­tà richie­ste dal­la Leg­ge, dopo­di­ché pren­dem­mo pos­ses­so dei nostri let­ti che con mio gran­de stu­po­re non ave­va­no len­zuo­la rot­te o spor­che ed era­no ben fat­ti e can­di­di. Tra di noi non par­la­va­mo (…) soprat­tut­to guar­da­vo con tri­stez­za due ragaz­ze sole, que­sto mi col­pì.

Infat­ti mi chie­de­vo se que­sto abor­to era poi una con­qui­sta del­le don­ne. In una manie­ra o nell’altra l’uomo ne è sem­pre fuo­ri. (…) Ven­ne il mio tur­no, dopo aver salu­ta­to mio mari­to, mi tro­vai in sala ope­ra­to­ria dove ebbi l’attenzione e l’affetto di tut­te. Abbia­mo par­la­to e scher­za­to con quel­le don­ne, men­tre l’anestesista mi spie­ga­va cosa mi sta­va facen­do, quel­lo che avrei dovu­to pro­va­re.

Chie­si di col­la­bo­ra­re con lui comu­ni­can­do­gli tut­te le sen­sa­zio­ni che pro­va­vo, mi sen­ti­vo più sol­le­va­ta e tran­quil­la. (…) Era fini­ta, non ave­vo asso­lu­ta­men­te dolo­re, allo­ra feci il con­fron­to con un pre­ce­den­te raschia­men­to di alcu­ni anni fa. Sta­vo bene, solo ave­vo son­no. Tra il dor­mi­ve­glia pas­sò un lun­go pome­rig­gio. Alle cin­que cir­ca ci fu una riu­nio­ne del­le fem­mi­ni­ste sui con­trac­cet­ti­vi, La sera sta­va­mo tut­te bene e per­ciò par­lam­mo fino a tar­di, di tut­to, come se ci cono­sces­si­mo da tem­po. (…) Tor­nai anco­ra in quel repar­to e con qual­cu­na di loro ho segui­ta­to a veder­mi, a par­la­re dei miei e dei loro pro­ble­mi».

(Testi­mo­nian­za scrit­ta di una don­na che ha abor­ti­to al Repar­ti­no)

«Il 21 giu­gno le com­pa­gne fem­mi­ni­ste e lavo­ra­tri­ci del Poli­cli­ni­co insie­me con le don­ne che atten­de­va­no di inter­rom­pe­re la gra­vi­dan­za han­no occu­pa­to un repar­to del­la secon­da cli­ni­ca oste­tri­ca, riser­va­to in pas­sa­to ai clien­ti di riguar­do dei baro­ni Crainz e Caren­za e che da qual­che anno, in segui­to alle lot­te por­ta­te avan­ti dai lavo­ra­to­ri del Poli­cli­ni­co con­tro le spe­cu­la­zio­ni sul­la pel­le dei mala­ti e con­tro un’assistenza ospe­da­lie­ra di pri­ma e secon­da clas­se, era sta­to chiu­so ed era rima­sto inu­ti­liz­za­to.

Que­sta occu­pa­zio­ne nasce dall’esigenza di tut­te le don­ne che, in atte­sa di abor­ti­re e da tem­po sbat­tu­te da un ospe­da­le a un altro, han­no deci­so di orga­niz­zar­si per garan­tir­si gli inter­ven­ti che nes­sun ospe­da­le anco­ra pra­ti­ca­va e che anche i nuclei di com­pa­gne che fino a quel momen­to l’avevano pra­ti­ca­to clan­de­sti­na­men­te, ave­va­no cor­ret­ta­men­te sospe­so volen­do met­te­re a nudo la respon­sa­bi­li­tà del­le isti­tu­zio­ni, di fron­te alla neces­si­tà di appli­ca­re imme­dia­ta­men­te la leg­ge.

Que­sta spin­ta all’occupazione ha subi­to lega­to con le com­pa­gne fem­mi­ni­ste, pro­prio per la volon­tà di que­ste di entra­re negli ospe­da­li: que­sta scel­ta da par­te di vari col­let­ti­vi fem­mi­ni­sti è sta­ta tutt’altro che como­da, poi­ché anda­va a coz­za­re con una real­tà che istin­ti­va­men­te ci veni­va da rifiu­ta­re, quel­la leg­ge sull’aborto. Una leg­ge che non ave­va­mo volu­to, che rin­ne­ga­va l’aborto come un’esperienza da vive­re coscien­te­men­te, da vive­re come don­ne tra don­ne e la tra­sfor­ma­va inve­ce in una tra­fi­la ambu­la­to­ria­le, in un nor­ma­le inter­ven­to chi­rur­gi­co. (…) Infi­ne una leg­ge che di per sè era per­fet­ta per non veni­re appli­ca­ta, con quel­la dell’articolo che pre­ve­de l’obiezione di coscien­za. (…)

Que­sta leg­ge che met­te in mano la don­na a pochi medi­ci ‘volen­te­ro­si’, solo di far car­rie­ra anda­va fat­ta fun­zio­na­re? Oppu­re è neces­sa­rio esse­re coe­ren­ti fino in fon­do e lascia­re que­sto com­pi­to in mano alle baro­nie da un lato e dall’altro a quel barac­co­ne che è la strut­tu­ra sani­ta­ria (…)? Que­sto nodo anco­ra non l’abbiamo sciol­to (…) ovve­ro non è l’autogestione del nostro repar­ti­no, ovve­ro del­la leg­ge che voglia­mo, né ci spin­ge l’entusiasmo dell’esemplarità di que­sta lot­ta. Sem­mai è il biso­gno di irrom­pe­re nel sacro tem­pio (l’ospedale) in cui dovrem­mo pas­sa­re come sog­get­ti total­men­te pas­si­vi e scar­di­na­re gli spor­chi pro­get­ti che i baro­ni stan­no facen­do sul nostro cor­po. Insom­ma non inten­dia­mo sosti­tuir­ci alle isti­tu­zio­ni: sia­no loro ad appli­ca­re la leg­ge! (…)

Noi voglia­mo però impor­re il con­trol­lo sull’applicazione di que­sta leg­ge, il con­trol­lo sui medi­ci, su come ven­go­no fat­ti gli inter­ven­ti, su come li vivo­no le don­ne; voglia­mo stra­vol­ge­re con i nostri con­te­nu­ti il con­cet­to di una medi­ci­na da subi­re in una da vive­re con­sa­pe­vol­men­te. (…) I medi­ci han­no appre­so il Kar­man dal­le com­pa­gne dei nuclei. (…). Inol­tre ha reso pos­si­bi­le un con­ti­nuo scam­bio con le don­ne, ed è pro­prio per que­sto rap­por­to che insie­me sia­mo riu­sci­te a sdram­ma­tiz­za­re il pro­ble­ma dell’aborto facen­do in modo che ogni don­na fos­se lei in pri­ma per­so­na a deci­de­re la scel­ta di una mater­ni­tà, a vive­re fino in fon­do quel che vuol dire deci­de­re del pro­prio cor­po. Ma il discor­so che le com­pa­gne han­no por­ta­to avan­ti non è solo quel­lo dell’aborto; è il con­trol­lo su tut­te le sfe­re del­la salu­te del­la don­na: entra­re nel­la sala par­to, vede­re con quan­ta vio­len­za sia psi­co­lo­gi­ca che mate­ria­le le don­ne ven­go­no trat­ta­te, tut­to ciò e mol­to anco­ra è per noi il ‘con­trol­lo’. Ed è pro­prio per­ché i nostri con­te­nu­ti anda­va­no in con­flit­to con la figu­ra del medi­co, del baro­ne, dell’amministrazione, che la poli­zia è inter­ve­nu­ta a sgom­be­ra­re il repar­to».

(Testi­mo­nian­za di una com­pa­gna del Poli­cli­ni­co che, con i col­let­ti­vi fem­mi­ni­sti, ha occu­pa­to il Repar­ti­no IVG)

Inter­vi­sta video a Gra­ziel­la Bastel­li, rea­liz­za­ta pres­so il Nuo­vo Cine­ma Palaz­zo, in occa­sio­ne del Festi­val di Sto­ria “Roma cit­tà ribel­le”. Gra­ziel­la ci rac­con­ta l’occupazione del Repar­ti­no e le lot­te fem­mi­ni­ste che ha vis­su­to in pri­ma per­so­na e che con­ti­nua ad ani­ma­re anche oggi con il movi­men­to Non una di meno. A lei van­no i nostri rin­gra­zia­men­ti per aver­ci inol­tra­to il mate­ria­le sto­rio­gra­fi­co da cui ha pre­so vita que­sto arti­co­lo.

Con­si­glia­mo la let­tu­ra di que­sto testo di Ales­san­dra Con­te, pub­bli­ca­to su “Napo­li Moni­tor” e lin­ka­to sul blog di Non una di meno.

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