Da poco l’Ocse ha certificato il calo dei salari italiani del 3% dal 1990 al 2020 al netto dell’inflazione, mentre in tutti gli altri paesi dell’Unione Europea sono aumentati, in Francia del 31%, in Germania del 34%. In questi giorni di chiamata dei cittadini a votare 5 referendum il pensiero non può non andare al referendum della scala mobile del giugno 1985.
I fatti. Il 14 febbraio 1984 il governo presieduto da Bettino Craxi vara un decreto (Il decreto di San Valentino) che, tra l’altro, congelava 3 punti della scala mobile. Il provvedimento, in termini economici, rallentava il processo di adeguamento degli stipendi e dei salari dei lavoratori dipendenti all’aumento del costo della vita. Un primo pesante attacco alle conquiste di 10 anni di lotte dei lavoratori.
Craxi ottiene il consenso da parte di Confindustria e delle altre associazioni di categoria, della Cisl e della Uil mentre la Cgil decide di ritirarsi dalle trattative. Il 24 marzo arrivarono a Roma centinaia di migliaia di manifestanti per protestare contro il provvedimento Craxi. Successivamente Democrazia Proletaria inizia a raccogliere le firme per un referendum abrogativo, che si tenne il 9 e il 10 giugno 1985.
La campagna referendaria è ancora lo specchio dei resti del conflitto sociale ereditato dagli anni 70. Da una parte si schiera il governo, Confindustria, Cisl, Uil e la componente socialista della Cgil. Dall’altra per l’abolizione del taglio alla scala mobile si schiera la componente comunista della Cgil, il Pci, Democrazia Proletaria. Molto attivi per il “Si” al taglio della scala mobile Pierre Carniti segretario Cisl e naturalmente il Presidente del Consiglio Craxi, il quale, intenzionato a far saltare il quorum, invita gli elettori “ad andare al mare”. Alle urne si reca quasi il 78% degli elettori, vince il No, il taglio della scala mobile resta.
La rabbia è tanta. Il 15 novembre, poi, la Confindustria annunciò pure che non avrebbe pagato gli annosi decimali. Di lì la proclamazione di quattro ore di sciopero. A Giorgio Benvenuto venne affidato il compito di chiudere la manifestazione milanese, proprio sotto la “Madunina”. Il segretario della Uil ebbe appena il tempo di cominciare a parlare e immediatamente dai larghi settori della piazza partì una violenta contestazione. Fischi, urla, poi lattine, bulloni, biglie d’acciaio. Carlo Tognoli, il sindaco di Milano, con prontezza di riflessi, evitò che una di queste biglie (avvolta in una palla di carta) colpisse Benvenuto. Molto peggio andò al segretario regionale della Uil, Loris Zaffra (un bullone in testa) e al segretario provinciale della stessa confederazione, Amedeo Giuliani (un oggetto nell’occhio sinistro).
La cancellazione definitiva della scala mobile si ha nel luglio di 30 anni fa. Anche questa volta il protagonista è un socialista, il presidente del consiglio Amato che provvede ad abolire la scala mobile con l’assenso dei sindacati confederali. La dinamica salariale viene congelata, iniziano le manovre “lacrime e sangue” per i lavoratori.
Si può affermare che dopo la sconfitta degli operai Fiat nell’autunno dell’80, la sconfitta del referendum sulla scala mobile segni un altro momento nero per i rapporti di classe in Italia. Oggi c’è un recupero da parte del ceto politico e giornalistico della figura di Craxi. La memoria di classe deve sapere da che parte schierarsi, non solo per difendere la nostra storia, ma per il presente, per rafforzare la coscienza di chi sono i nostri nemici e della necessità di tornare a combatterli. Non abbiamo santi protettori da nessuna parte.