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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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Il disastro della "missione afgana".

talebani

Il disastro in Afghanistan è un disastro annunciato perché gli Stati Uniti, prima con Trump poi con Biden, avevano già trattato l'uscita dal paese con i talebani. Il governo americano si era reso conto che ogni anno migliaia di soldati che abbandonavano l'esercito afgano si disperdevano o venivano reclutati dalle milizie che avrebbero dovuto combattere.

Il risultato di 20 anni di guerra è un disastro da tutti i punti di vista. La missione afgana è costata all'Italia 53 soldati morti oltre 700 feriti con danni permanenti e con menomazioni gravissime di cui porteranno le conseguenze per tutta la vita. Solo il nostro Paese ha speso 8,5 miliardi di euro in questa lunga missione, si tratta di soldi sottratti alle spese sociali con le quali si sarebbe potuto assicurare una vita migliore agli afghani costruendo strade, ospedali, scuole. Soldi utilizzati per assicurare alle multinazionali il controllo delle vie di transito dell'energia. Il bilancio complessivo è molto più grave: sicuramente hanno perso la vita più di 200 mila persone, di cui 70 mila civili. Fra i morti vanno ricordati i circa 4.000 contractor statunitensi uccisi in combattimento, si tratta di mercenari di cui poco si sa e poco si dice, ma che hanno avuto un ruolo determinante nel conflitto.

Come sappiamo l’impresa afgana è stata giustificata ufficialmente con la volontà di “esportare la democrazia” nel paese asiatico, la stessa motivazione adottata per le guerre in Siria e in Iraq. Pochi sanno che le cause della guerra hanno origini lontane. Nel 1997, pochi mesi dopo che i talebani presero il controllo dell’Afghanistan, la grande multinazionale petrolifera statunitense Unocal trattò con i capi talebani un accordo che avrebbe consentito di costruire un oleodotto che dal Turkmenistan passando attraverso l’Afghanistan avrebbe raggiunto il Pakistan e l’India. L’accordo non fu raggiunto. Questo progetto che consente di aggirare il territorio iraniano è tuttora in campo e va considerato come uno degli elementi in gioco nello scacchiere afgano.

Le implicazioni geopolitiche della situazione afgana, e di questa nazione fra le più povere del mondo, sono molteplici e complesse. Dovremo tornarci in modo articolato. Sono molti i fattori che intervengono nella questione afghana. Intanto va considerato il ruolo di grande rilevanza del Pakistan dove si trovano i padrini politici dei talebani, vanno considerati i loro finanziatori internazionali che probabilmente si trovano a Doha nel Qatar.

Per quanto riguarda L'Europa e l'Italia non emerge nessuna linea comune nei confronti dell'Afghanistan e nei confronti dei migranti. L'Unione Europea vorrebbe evitare che Cina, Russia e Turchia la facciano da padrone con normali relazioni commerciali e politiche con il nuovo Afghanistan, relegando in secondo piano gli interessi europei. Per quanto riguarda la questione dei futuri profughi afghani da un lato abbiamo un'ipocrita solidarietà nei confronti delle donne e della popolazione civile, dall'altra prevale la realpolitik che, per quanto riguarda Francia e Germania, con le elezioni vicine, ha come obiettivo quello di bloccare i flussi migratori afghani, anche attraverso accordi con la Turchia e il Pakistan sull’esempio degli accordi raggiunti fra Unione europea e Turchia nel caso dei profughi siriani.

Si continua ancora una volta a chiedere all'Europa di interfacciarsi con gli Stati Uniti all'interno della gestione delle politiche globali che in passato hanno palesato tutte le loro contraddizioni. Ci sembra anche evidente l'enorme contraddizione con la quale si imputa a Trump la scelta di abbandonare l'Afghanistan. Una scelta dettata in primo luogo dai costi eccessivi della guerra e dalla necessità degli Stati Uniti di utilizzare i fondi impiegati nell'avventura afgana a sostegno di un welfare che proprio in epoca pandemica si è dimostrato del tutto inadeguato, insufficiente, incapace di assicurare cure e assistenza alla popolazione americana. Queste sono le reali motivazioni per le quali è stato abbandonato l'Afghanistan, è stata una crisi tutta interna all'imperialismo americano.

Intanto si sta già mettendo in moto la macchina delle menzogne, ad esempio quella secondo cui i talebani proteggerebbero Al Qaeda, ma nulla viene detto sulle migliaia di contractor presenti nel territorio afghano e sul cui futuro nulla sappiamo. Soprattutto per chi combatteranno per quali tipi di interesse, se abbandoneranno il paese come lo abbandoneranno.

Di sicuro gli interessi di Al Qaeda e quelli talebani non sempre sono andati nella stessa direzione, mentre invece è acclarato che a potenziare la mano di Al Qaeda sono stati anni di sovvenzioni degli Stati Uniti in funzione antisovietica prima, e antirussa e anche anticinese oggi. Al contempo l'Europa continua ad essere divisa sulle questioni dei migranti perché è certo che al seguito di ogni guerra ci sono flussi migratori che devono essere fronteggiati e gestiti. A tutti è sfuggito il particolare che la sede del governo dei talebani è a Doha dove qualche nostro politico ogni tanto va a parlare in qualità di conferenziere.

È repellente la sensazione che proviamo leggendo l'ultima intervista di Enrico Letta che dichiara che “la democrazia non si può esportare”, peccato che sia quello che è accaduto negli ultimi vent'anni.

Non sappiamo con quale coraggio il Partito Democratico parli dell'impossibilità di esportare la democrazia attraverso i conflitti armati, perché è l'esatto contrario di quanto hanno praticato. L'intervista rilasciata da Letta a Repubblica è un campionario di luoghi comuni, ma anche di grosse contraddizioni. Per lui il problema sta nell'unilateralismo con cui gli Stati Uniti hanno gestito la questione afghana, come se la loro concertazione con l'Unione Europea nella gestione del conflitto avrebbe potuto cambiare gli esiti della guerra. In realtà quello che dice Letta a mezza bocca è che l'obiettivo suo e dell'Unione Europea è quello di continuare a intromettersi nella vita del popolo afgano, magari proponendo un governo di unità nazionale a sostegno degli interessi occidentali che sono ancora molto forti all'interno del paese.

Ci sembra poi del tutto ipocrita che oggi il Partito Democratico si ricordi della figura di Gino Strada esaltandone l'operato, quando in realtà Gino Strada nel corso del lavoro con Emergency è stato di fatto osteggiato da questo Partito in nome delle “guerre giuste.”

 

 

 

 

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