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sabato, 5 Ottobre 2024

«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

[K. Marx]

L’Italia cresce meno di ogni altro paese UE

L’I­ta­lia cre­sce meno di ogni altro pae­se Ue La irre­ver­si­bi­le cri­si di un capi­ta­li­smo deca­den­te che pun­ta tut­to sul­la ridu­zio­ne del pote­re di acqui­sto e i bas­si sala­ri

Stra­no a dir­si ma l’I­ta­lia è il fana­li­no di coda dei pae­si del­l’a­rea euro, del resto negli ulti­mi 40 anni i nostri sala­ri sono rima­sti pra­ti­ca­men­te fer­mi men­tre cre­sce­va­no in ogni altra nazio­ne Ue, abbia­mo per­so pote­re di acqui­sto tan­to nel pri­va­to quan­to nel pub­bli­co dove i 9 anni di bloc­co del­la con­trat­ta­zio­ne e del­le assun­zio­ni ci han­no rega­la­to la for­za lavo­ro più vec­chia in asso­lu­to, la meno for­ma­ta e moti­va­ta e anche tra le meno paga­te in asso­lu­to.

Leg­gia­mo testual­men­te dal­la edi­zio­ne de Il Sole 24 ore del 19 Otto­bre

Per il pros­si­mo anno l’Italia met­te in pro­gram­ma la cre­sci­ta più bas­sa dell’Eurozona (1,2%, con­tro l’1,4% del­la Fran­cia, l’1,6% del­la Ger­ma­nia e il 2% del­la Spa­gna), e la spe­sa per inte­res­si di gran lun­ga mag­gio­re dell’area (il 4,2% del Pil, un pun­to un più del­la Gre­cia.

Se il para­me­tro di con­fron­to è quel­lo con la Ger­ma­nia l’I­ta­lia esce deci­sa­men­te con le ossa rot­te visto che i sin­da­ca­ti tede­schi han­no strap­pa­to aumen­ti sala­ria­li nel 2023 supe­rio­ri all’8% riman­dan­do ulte­rio­ri incre­men­ti all’an­no 2024. I sala­ri ita­lia­ni sono a livel­li infi­mi e gli aumen­ti con­trat­tua­li ben lon­ta­ni anche dal con­si­de­ra­re l’au­men­to del­l’in­fla­zio­ne che ormai si atte­sta attor­no all’8 per cen­to. Sem­pre in Ger­ma­nia, dopo la reces­sio­ne del 2023, si annun­cia una cre­sci­ta del PIL pari all’ 1,6% per  l’anno pros­si­mo.

Maga­ri sia­mo davan­ti a pre­vi­sio­ni desti­na­te ad esse­re smen­ti­te ma la situa­zio­ne del capi­ta­li­smo ita­lia­no è vera­men­te pro­ble­ma­ti­ca, basti pen­sa­re che gli aiu­ti sta­ta­li tede­schi sono supe­rio­ri del 10 per cen­to ai miliar­di del PNRR nostra­no. Entra­no in gio­co due fat­to­ri: l’ar­re­tra­tez­za del capi­ta­li­smo ita­lia­no che ha pun­ta­to tut­to sul­le delo­ca­liz­za­zio­ni pro­dut­ti­ve, sul bas­so costo del lavo­ro e sugli aiu­ti pub­bli­ci e la ina­de­gua­tez­za del siste­ma fisca­le nazio­na­le con la tas­sa piat­ta per gli auto­no­mi e aiu­ti a non fini­re alle impre­se.

E par­lan­do del PNRR dimen­ti­chia­mo che buo­na par­te dei finan­zia­men­ti euro­pei all’I­ta­lia com­por­te­ran­no il paga­men­to di one­ro­si inte­res­si.

Il costo del dena­ro potreb­be arri­va­re da qui a due anni al 4,6% con un aggra­vio di costi per impre­se e fami­glie e que­sto dato la dice lun­ga sul­la pre­sun­ta effi­ca­cia del­la mano­vra di Bilan­cio che l’I­ta­lia sta per vara­re.

L’Italia il pros­si­mo anno avrà un defi­cit supe­rio­re al 3% del Pil, in buo­na com­pa­gnia con Bel­gio, Fin­lan­dia, Fran­cia, Slo­vac­chia e Slo­ve­nia, il calo del debi­to non è per altro indi­ca­to da que­sti ed altri pae­si Ue e sap­pia­mo quan­to sia­no diri­men­ti i para­me­tri di Maa­stri­cht da qui nasce la neces­si­tà di rive­de­re il Pat­to di sta­bi­li­tà che sarà ogget­to di con­fron­to, e di divi­sio­ne, tra le eco­no­mie for­ti e domi­nan­ti euro­pee e quel­le in mag­gio­re dif­fi­col­tà come l’I­ta­lia. E sot­to­va­lu­ta­ti resta­no gli effet­ti del­la guer­ra sul­le eco­no­mie nazio­na­li, tut­ti i pae­si euro­pei uni­ti nel­l’a­cri­ti­co soste­gno a Ucrai­na ed Israe­le sen­za mai pren­de­re atto che que­sti con­flit­ti avran­no riper­cus­sio­ni nega­ti­ve soprat­tut­to sul “Vec­chio con­ti­nen­te”.

Non è dato sape­re se saran­no poi rag­giun­ti gli obiet­ti­vi indi­ca­ti nel­la NaDef, è inve­ce pro­ba­bi­le che pro­prio que­sti dati saran­no rivi­sti già nel pros­si­mo inver­no.
Chiu­dia­mo sul­le pen­sio­ni per­ché la Leg­ge For­ne­ro pre­ve­de l’au­men­to del­l’e­tà lavo­ra­ti­va in base alle aspet­ta­ti­ve di vita che dal­la pan­de­mia ad oggi risul­ta­no inve­ce in decre­sci­ta.  Se con­ti­nuia­mo ad anda­re in pen­sio­ne dopo i 67 anni di età alla fine il van­tag­gio del­l’Inps diven­ta elo­quen­te con una aspet­ta­ti­va di vita infe­rio­re alle pre­vi­sio­ni di 3\4 anni or sono. Se la spe­ran­za di vita si allun­ga il coef­fi­cien­te di cal­co­lo del­la pen­sio­ne diven­ta meno favo­re­vo­le per lo Sta­to per­ché avrà da paga­re l’as­se­gno pre­vi­den­zia­le per un nume­ro mag­gio­re di anni ma se inve­ce, come sta acca­den­do, dimi­nui­sce l’a­spet­ta­ti­va di vita i van­tag­gi diven­ta­no elo­quen­ti per le cas­se pub­bli­che ma assai meno nel deter­mi­na­re l’im­por­to del­l’as­se­gno pre­vi­den­zia­le. Que­sta bre­ve descri­zio­ne tec­ni­ca indur­reb­be a pen­sa­re che sia pro­prio la Leg­ge For­ne­ro il vero e insor­mon­ta­bi­le pro­ble­ma, dimi­nui­sce l’a­spet­ta­ti­va di vita ma i requi­si­ti per la pen­sio­ne di vec­chia­ia resta­no inal­te­ra­ti.

Per esse­re chia­ri, anche rive­den­do il coef­fi­cien­te in base alla aspet­ta­ti­va di vita pos­sia­mo pen­sa­re che le pen­sio­ni saran­no ade­gua­te al costo del­la vita?  La rispo­sta è nega­ti­va se pen­sia­mo agli attua­li qua­ran­ten­ni che tra part time e vuo­ti con­tri­bu­ti­vi avran­no un doma­ni asse­gni irri­so­ri costrin­gen­do lo Sta­to ad inter­ven­ti a soste­gno del pote­re di acqui­sto che avran­no un cer­to peso sul­le sem­pre più tra­bal­lan­ti cas­se sta­ta­li.

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